Da Un Salto Nel Vuoto A San Francisco

Sono accovacciata sul divano, intorno, ho scatole, sacchetti, una valigia e qualche palloncino blu.
Le scatole sono di due paia di scarpe che ho comprato ieri; avevo resistito mesi senza shopping ma, con gli arrivi della nuova stagione ed i sandali estivi, mi sono lasciata tentare: un paio di décolletées nere e un paio beige, con un po’ di tacco. Quasi avevo dimenticato la sensazione che dà un paio di sandali nuovi: jeans, un top di seta e ci si sente ondeggiare sui tacchi, molto più donne di quando si portano sneakers e zaino. Qui vivo in un paio di Tods ed un Eastpack marrone; sarebbe stato impensabile meno di un anno fa.
I sacchetti sono di oggi, piccoli acquisti fatti a Bondi. Avevo dimenticato anche l’effetto deleterio e dispendiosissimo del sentirsi donne: ci si ritrova autorizzate ad entrare nei negozi, a provare e si torna a casa colme di pacchettini patinati e velina croccante. Ora so che, per risparmiare, basta uscire struccate e un po’ sciatte: ogni velleità, tragi-magicamente, scompare.
I palloncini blu sono tra i più resistenti che abbia mai trovato: li ho gonfiati esattamente 10 giorni fa, il 14 agosto alle 6 del mattino, prima di svegliare Albi per la sua sorpresa di compleanno. Ho inondato il lettone di palloncini e gli ho dato un biglietto : “Oggi ti lanci da 14000 piedi”. Sonno o incredulità, ci ha messo un po’ a realizzare che la torta ed il regalino della sera prima erano solo una copertura per il balocco vero. Era un po’ che parlava di paracadutismo, mai troppo seriamente, ed era un po’ che si lamentava di dover andare in ufficio nel giorno del suo compleanno. Ho messo insieme le due cose e una lettera al boss, da cui sono riuscita ad ottenere per entrambi un day off, azzardato un paio di chiamate e, tac, era fatta: due lanci prenotati per il 14 alle dieci del mattino. Ho fatto un po’ di ricerca su Internet ed ho scelto Wollongong, una spiaggia ad un’ora da Sydney, l’unico posto in cui ci si lanci sul mare e dalla massima altezza. Abbiamo mangiato al volo i soliti cereali e siamo saltati in macchina, Albi al volante io con il Mac in grembo e uno screen shot di GoogleMaps a farci da guida.
Siamo arrivati esattamente alle 10. La scuola di paracadutismo di Wollongong e’ una casetta nel mezzo di un prato verdissimo, intorno, solo spiaggia e mare, ha un che di sereno e di rassicurante. C’era vento, troppo vento: “Andate a fare colazione, ci sono un sacco di baratti sul lungomare, ci ritroviamo qui tra mezz’ora per vedere se il vento e’ calato”. Ottimo consiglio quello dell’istruttrice, un po’ titubanti noi, all’idea di far colazione immediatamente prima di buttarci da un aereo, ma i biscotti alle mandorle del chioschetto a nord della baia erano davvero impedibili.
Alle 10:30 eravamo pronti per l’avventura: una tuta gialla e blu, un salvagente (in caso di ammaraggio), un breve briefing e via su di un minuscolo aereo blu. Davvero minuscolo, sembrava un tagliaerba. Vuoti d’aria, qualche battuta e la consapevolezza che ormai si era partiti: piedi lontani da terra ed il deretano su un trabiccolo traballante “Siamo pieni di paracadute”- mi facevo coraggio. Quattro, otto, quattordici mila piedi. La terra sempre più lontana, il mondo sempre più piccolo, il salto sempre più vicino e la ricerca dell’inconsapevolezza sempre più disperata: più di inconsapevolezza che di incoscienza si tratta di fornirsi in quel momento, perché talmente inconcepibile e’ ignorare le conseguenze di un eventuale inciampo, che bisogna piuttosto fingere di non sapere che cosa si sta facendo. Uno, due tre, quattro e’ Alberto, quinta salto io, poi boh, neanche ricordo chi ci fosse dietro; altri due ragazzi, mi sembra. Vedere albi volar giù dall’aereo, proprio davanti a me, mi ha fatto pensare: “L’ho ucciso”. Si rotolava in cielo con l’istruttrice e…e poi non c’era tempo per pensare: toccava a me.
Un portellone, un istruttore biondo, spiaggia e mare a cinque mila metri di distanza, a picco sotto di noi. Hop: vento, vento fortissimo, freddo, braccia allargate e sembrava di volare, ma troppo veloce. Si cade a 220 Km all’ora e non e’ proprio come andare in moto. Poi, da proiettili, ci si trasforma in palloncini, sembra di gonfiarsi d’elio: la decelerazione di quando si apre il paracadute si percepisce come un’ascesa. E poi volte e giri e spiaggia, verde e azzurro e una manciata di altri paracadute intorno che atterravano alla spicciolata nel prato sul mare.
Fatto, tick, crocetta. E’ una delle cose che si hanno sulla lista di cose da fare in una vita e tac, fatta. Per merenda ci siamo regalati e una pizza e poi a nanna prestissimo, stravolti e snervati dalla tensione della mattina.
Il giorno dopo, siamo partiti per la montagna. Era venerdì. Un autobus ci aspettava alla stazione centrale, appena dopo il lavoro. Una ciurma di ragazzi con tavola e sci.
Alle sei in punto abbiamo preso la via di Thredbo, la più alta tra le località sciistiche australiane. Prima tappa, il bottle shop, tanto per settare il tono della vacanza. Secondo punto saliente, l’imbuto. Justin, la nostra guida, ha sventolato un imbuto rosso attaccato ad un metro di canna: “Ragazzi, non possiamo fermarci ogni due minuti per fare pipì, quindi, se bevete troppo, c’e’ l’imbuto” – un prototipo di Piss&Drive, praticamente, sarebbe da brevettare. Oltre all’imbuto, Justin si e’ occupato davvero di tutto: ci ha preso lui gli skipass, prenotato l’attrezzatura (eggia’, non abbiamo portato tuta e sci, in Australia), organizzato il recupero delle chiavi ecc.
Alle 23 eravamo a destinazione, passaggio veloce al Rent per recuperare tuta, sci e scarponi e alla Reception per la chiave. A mezzanotte eravamo già in camera a guardare le olimpiadi. Nanna presto, di nuovo.
L’indomani, la sveglia e’ suonata alle 6: colazione e bus per le piste (lo stesso bus dell’imbuto). Thredbo e’ un complesso niente male ed abbiamo trovato una neve spettacolare. Piste impegnative, molto libere, spaziose, divertenti, snow park per le tavole, davvero carino. Domenica c’e’ stato un sole spettacolare. Ed eravamo incruduli quando, dopo le mille cose fatte, ci siamo ritrovati a Sydney la sera. Il viaggio e’ volato, abbiamo visto un paio di film ed eravamo a casa. Ancora una volta, nanna presto.
Ora e’ mezzanotte e, domani, si va in piscina durante la pausa-pranzo, quindi scappo a preparare la borsa e – indovinate – a fare la nanna.
Ah, dimenticavo: la valigia! Nel casino intorno a me, c’e’ anche una valigia. E’ un trolley da cabina che ho preso al volo da QuickSilver per sostituire il mio, ormai estenuato. Mi serve, perché il boss mi ha appena detto che, dall’8 al 14 Settembre, ho un impegno a SanFrancisco: WoW, una conferenza web interessantissima ed un sacco di incontri con blogger e geeks vari. Per ora posso solo dirvi che non vedo l’ora. Il resto velo raccontero’ in WiFi dalla citta’ piu’ 2.0 del mondo.

Una risposta a “Da Un Salto Nel Vuoto A San Francisco

  1. e l’ho mai detto che scrivi bene?
    stasera mi son trovata a ridere leggendoti; eppure erano situazioni che gia’ conoscevo.
    quando le penso io sono a colori scipiti, seppiolini, grigini.
    quando le scrivi tu diventano abbaglianti, multicolori,divertenti.
    viene sempre voglia di voltare pagina per vedere se c’e’ un’altra puntata….
    buongiorno, Piccola

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